Originale in inglese. Tradotto da Massimiliano Elia.
Fergus Murray – insegnante di scienze, scrittore e «autist» – un saggio sull’attenzione singola e la cognizione associata nell’autismo; una teoria con un legame di famiglia…
L’autismo è ancora ampiamente considerato un mistero – tanto che il suo simbolo più ampiamente riconosciuto (impopolare nella comunità autistica) è un pezzo di puzzle. Le numerose teorie psicologiche sull’autismo non hanno aiutato molto, in gran parte perché tutte quelle più consolidate lasciano vaste aree di esperienza autistica completamente inesplorate e tendono a lasciare idee confuse e dannose nelle persone. L’unica teoria che penso si avvicini a spiegare l’intero guazzabuglio – monotropismo – è stata ampiamente trascurata dagli psicologi.
Questo mi irrita come adulto autistico, come insegnante di scienze e (full disclosure) come figlio dell’ideatrice della teoria, Dinah Murray. In quanto persona sullo spettro, non mi piace la lente patologizzante e basata sul deficit delle teorie più note sull’autismo e odio gli errori a cui portano nella pratica: presumere che manchiamo di empatia e non abbiamo idea di cosa stia succedendo nella testa degli altri; dipingere la cognizione autistica come intrinsecamente più “maschile”; aspettandosi che le abilità che siamo lenti ad apprendere da bambini mancheranno per tutta la vita.
Mi dà fastidio come insegnante di scienze, quasi quanto mi preoccupa come autistico, che gli psicologi si siano accontentati di teorie sull’autismo che semplicemente non forniscono alcuna spiegazione per buona parte del pensiero autistico. Certo, il mio background è in fisica e filosofia piuttosto che in psicologia, ma ho sempre sostenuto che quando una teoria spiega solo parzialmente i fenomeni esaminati, bisogna andare avanti e cercare una teoria migliore. I fili sparsi lasciati in giro senza spiegazione, come ad esempio le differenze sensoriali molto comuni tra le persone autistiche, rendono evidente la necessità di un quadro più completo. Le teorie parziali possono essere utili, ma è fin troppo facile estenderle oltre il loro dominio di applicabilità e che possano causare problemi reali, come far supporre che gli adulti autistici non abbiano una teoria della mente. Forse è il mio perfezionismo autistico, ma non mi piace che le teorie lascino troppe questioni in sospeso.
Il monotropismo fornisce una spiegazione molto più completa per la cognizione autistica rispetto a qualsiasi altro suo concorrente, quindi è stato bello vederlo finalmente iniziare a ottenere più riconoscimenti tra gli psicologi (come nel discorso di apertura di Sue Fletcher-Watson alla conferenza Autistica 2018). In poche parole, il monotropismo è la tendenza dei nostri interessi a coinvolgerci più fortemente che nella maggior parte delle persone. Si basa su un modello della mente come «sistema di interessi»: siamo tutti interessati a molte cose e i nostri interessi aiutano a dirigere la nostra attenzione. Interessi diversi sono salienti in momenti diversi. In una mente monotropica, meno interessi tendono a essere suscitati alla volta, utilizzando più risorse di elaborazione, rendendo così più difficile gestire le cose al di fuori del nostro attuale tunnel attentivo.
L’articolo fondante sul tema, «Attenzione, monotropismo e criteri diagnostici per l’autismo» si concentra in gran parte su come la teoria fornisca spiegazioni convincenti di tutte le caratteristiche dell’autismo elencate nei manuali diagnostici, e le unisca con successo, a differenze delle altre teorie disponibili attualmente. Gli autori riescono a essere molto convincenti, ma trovo i criteri diagnostici così carenti quando si tratta di spiegare l’esperienza dell’autismo che non userò quella cornice. Invece mi concentrerò su alcune caratteristiche chiave dell’autismo visto dall’interno: inerzia autistica; differenze sensoriali; differenze sociali; e interessi mirati. Concluderò con alcune riflessioni sulle implicazioni per la pratica, il ruolo delle prospettive di sviluppo e le potenziali direzioni di ricerca.
Inerzia autistica
La maggior parte di ciò che di solito viene definito «disfunzione esecutiva» nell’autismo – difficoltà ad andare avanti con le cose, eseguire i programmi e staccarci dalle cose una volta che abbiamo iniziato – sono più accuratamente descritte come «inerzia autistica». Cioè, resistenza a un cambiamento di stato: difficoltà ad avviare, fermarsi o cambiare direzione. Questo è fondamentale per molte delle difficoltà che le persone autistiche affrontano nella vita, ma fa anche parte di ciò che rende il pensiero autistico distintivo e prezioso.
Mi sento un po’ a disagio con la «disfunzione esecutiva» come etichetta per questo aspetto, perché sembra che sia un problema di volontà direzionale; è più utile pensare allo slancio del pensiero che ci porta avanti, spesso a conclusioni che altri potrebbero aver perso. Pensare in termini di inerzia dà anche qualche idea del disagio provocato dall’essere interrotti o dai cambiamenti di programma. È come se avessimo caricato un carrello fino all’orlo di pensieri ed emozioni, e poi improvvisamente dovessimo guidarlo dietro un angolo molto stretto.
Questa tendenza deriva naturalmente dal monotropismo. Qualunque sia l’interesse più suscitato in una mente monotropica tende ad attirare un intero carico di risorse di elaborazione. Questo naturalmente rende più difficile cambiare rotta, specialmente considerando che i percorsi dei nostri pensieri lasciano sempre un’impronta nella nostra mente, e quelli autistici lasciano solchi più profondi di quanto potrebbero fare nella mente media.
Differenze sensoriali
È più facile per le persone autistiche elaborare un canale alla volta. Distribuire la nostra attenzione tra più flussi richiede impegno e, a volte, semplicemente non funziona affatto. Ancora una volta, il monotropismo è caratterizzato dall’intensità quale che sia l’oggetto della concentrazione, a costo di elaborare risorse che altrimenti potrebbero essere utilizzate per gestire altri input o interessi. Questo è spesso un problema nelle situazioni sociali. L’autismo viene occasionalmente scambiato per sordità, specialmente nei bambini piccoli: se la nostra attenzione è altrove, l’input uditivo potrebbe essere registrato come un’interruzione sgradita che preferiremmo ignorare, o potrebbe non registrarsi affatto.
Viceversa, quando non si riesce a filtrare un input, questo viene spesso percepito come orribilmente invadente. Penso che questo sia dovuto a una combinazione di disagio per la nostra attenzione che viene costantemente allontanata da dove vogliamo che sia, con la tendenza a sentire qualcosa intensamente se è presente nella nostra consapevolezza. Il nostro cervello investe molte risorse sui focus scelti dalla nostra attenzione, il che spiega sia l’intensità della consapevolezza che il dolore degli stimoli distraenti che non possiamo filtrare. C’è probabilmente un aspetto evolutivo in questo: i percorsi neurali che ricevono molta stimolazione diventano più forti, quindi forse le persone autistiche sono inclini all’ipersensibilità a lungo termine nei sensi che ricevono un’attenzione intensa e alla sotto-sensibilità nei canali che filtrano regolarmente.
Spesso, se siamo sovraccarichi, aiuta avere input controllati o prevedibili. Lo stimming, sbattere le mani, dondolare e canticchiare danno qualcosa che possiamo fare e sentire senza doverci pensare, e possono rendere molto più facile filtrare, concentrarsi su qualcos’altro o affrontare sentimenti di sopraffazione.
Differenze sociali
Molte differenze sociali sono in realtà differenze sensoriali, in fondo. Non essere in grado di elaborare più canali di input per la maggior parte del tempo rende la combinazione di parole, linguaggio del corpo e contatto visivo estremamente impegnativa. Aggiungete l’inerzia autistica al mix e possiamo anche capire perché le persone autistiche hanno spesso bisogno di più tempo di elaborazione e possono trovare difficile tenere il ritmo della conversazione neurotipica.
L’elaborazione monotropica spiega anche la “letteralità” per cui le persone autistiche sono famose. Le menti politropiche hanno molteplici interessi suscitati in qualsiasi momento, cosa che attiva diversi gruppi di informazioni, sia esterne che interne. Sono pre-attivati per cercare cose come le implicazioni sociali e decodificano senza sforzo metafore e linguaggio indiretto. La mente monotropica tende ad aspettarsi che una cosa segua da un’altra più direttamente di così. La maggior parte delle persone autistiche alla fine capisce le metafore, ma molti riportano ancora il significato letterale di un detto che tende a venire in mente per primo, e ci vuole un momento di elaborazione per sostituire l’intento metaforico.
La concentrazione autistica tende a significare che ci perdiamo molte cose che altre persone registrano, ma ad altre persone probabilmente mancano altrettante cose, solo cose diverse. Psicologi come Peter Vermeulen parlano di «cecità da contesto»: un concetto utile, ma tutti costruiamo i nostri contesti in ogni momento, e un modo migliore di considerare il tema è probabilmente rappresentandolo come «una mancata corrispondenza di rilevanza», per prendere in prestito il titolo della raccolta di saggi di Damian Milton [mismatch of salience]. Potrei perderemi il tuo contesto, ma non dare per scontato che tu capisca il mio senza verificare.
Il modellamento, ovvero la rappresentazione interna, delle menti degli altri richiede molta potenza di elaborazione, qualcosa che può sembrare semplice ma non è mai banale. Diventa molto più difficile quando le menti in questione sono molto diverse dalle proprie. Quando le persone autistiche non riescono a farlo, non è tanto che non sono in grado – l’idea di «cecità mentale» è profondamente fuorviante – ma che non sempre hanno la potenza di elaborazione rimasta per farlo in modo efficace, quando l’attenzione viene fortemente attirata in un’altra direzione.
Interessi mirati
Gli interessi sono al centro del racconto del monotropismo e sono stati presenti nelle caratterizzazioni dell’autismo fin dall’inizio. La loro quasi assenza dalle teorie più consolidate dell’autismo, e in effetti dall’intera letteratura psicologica sull’autismo, è evidente. I criteri diagnostici parlano di interessi «limitati» e «ripetitivi», ma la caratteristica principale degli «interessi speciali» autistici è in realtà quanto ci concentriamo su di essi (o ci focalizzano), non quanto siano limitati o ripetitivi.
Le passioni di tutti sono ripetitive; questa è solo la natura dei forti interessi. Quando le persone parlano di «interessi limitati», ciò che per lo più sembrano voler dire è che non riescono a capire il nostro fallimento nell’interessarci a cose che sembrano importanti per loro. È vero che spesso siamo fortemente interessati ad alcune cose per un tempo relativamente lungo, ma cambiano nel corso degli anni e talvolta in periodi di tempo molto più brevi. Da parte mia, ho molti interessi, alcuni dei quali mi affascinano fin dall’infanzia, la maggior parte dei quali divorano tutto quando ci entro. Chiacchierare con adulti autistici delle cose che interessano loro spesso fa sembrare assurda l’idea che i loro interessi siano «limitati».
Ciò che è vero è che i nostri interessi ci attirano in modo molto forte e persistente, rispetto alla maggior parte delle persone. Può essere difficile pensare a qualcos’altro quando siamo particolarmente coinvolti in un argomento e difficile immaginare quanto poco gli altri potrebbero essere interessati. Questa può essere una grande risorsa in molti campi: un’attenzione intensa è indispensabile, tra le altre, in scienza, matematica, tecnologia, musica, arte e filosofia. Ovviamente le persone autistiche non sono le uniche capaci di iperfocus e interessi persistenti, ma è una caratteristica comune della psiche autistica, e troppo spesso viene sperperata quando i luoghi di lavoro e le scuole non sono istituiti per consentirlo.
Implicazioni per la pratica
La cosa più pratica da capire è l’importanza di andare incontro al bambino, o adulto, dove si trova. Questa non è una visione unica per la prospettiva del monotropismo, ma nient’altro di quello che ho visto dimostra con tanta chiarezza perché è così cruciale. Bisogna trattare gli interessi come qualcosa su cui lavorare. Scoprire le passioni di qualcuno e imparare come entrare a far parte dei tunnel attentivi tipici della messa a fuoco monotropica, piuttosto che cercare di tirare fuori la persona forzatamente dagli stati di flusso che sono così importanti per gli autistici. Bisogna non patologizzare mai «interessi speciali» e non dare per scontato che gli interessi autistici siano «limitati»: ci sono molti modi per farci interessare a cose nuove, è solo che implicano principalmente prendere interessi esistenti e costruire su di essi.
La stabilità è un bisogno umano fondamentale e la vita come persona monotropica in un mondo politropico è spesso instabile. È profondamente destabilizzante essere tirati fuori da un tunnel attentivo, essere regolarmente sorpresi dalle azioni delle persone o sentire di non essere compresi. Gran parte del comportamento autistico può essere visto come un tentativo di ripristinare un qualche tipo di equilibrio.
I «comportamenti limitati e ripetitivi» sono una risposta naturale ai sentimenti di instabilità. Permettono di affermare il controllo su ciò che sta accadendo e di sentirsi più sicuri. Questa è probabilmente una regola generale utile, non qualcosa che è vero solo nell’autismo: vediamo comportamenti limitati e ripetitivi in tutti i tipi di contesti, è solo che quelli delle persone autistiche si distinguono come particolarmente strani, per la maggior parte delle persone.
Aiutare le persone autistiche a mantenere un senso di stabilità dovrebbe essere una priorità per chi le circonda. È ampiamente noto che le routine possono spesso aiutare le persone autistiche, ma non sono sicuro che sia ampiamente compreso il motivo. In gran parte si tratta di ridurre al minimo il carico mentale: eliminare le cose a cui dobbiamo pensare, in modo da poter mantenere la concentrazione. Un’altra parte importante è che cambiare i programmi comporta un cambiamento mentale tale da essere estenuante. La capacità di sentirsi in controllo è fondamentale per tutto questo e le routine imposte dall’esterno a volte si ritorcono contro le persone proprio per questo motivo. Le frustrazioni e l’ansia per il controllo possono manifestarsi a volte attraverso l’evitamento delle richieste, crisi (meltdown) e arresti (shutdown).
La mente in via di sviluppo dinamica
Nessuna teoria sulle menti è completa a meno che non sia dinamica ed evolutiva: siamo tutti in perenne cambiamento, e gran parte di ciò che rende diverse tra loro le persone autistiche ha a che fare con l’aver intrapreso percorsi differenti. Qualunque sia la causa, l’incapacità di entrare in contatto con le persone intorno a sé, in particolare i genitori, avrà implicazioni a lungo termine per una persona e il modo in cui si relaziona con coloro che la circondano. Forse ancora più grande di questo è il disorientamento affrontato regolarmente da tanti bambini autistici, insieme a strazianti dislocazioni in quanto sono costretti a cambiare binario ancora e ancora per adattarsi alle tabelle di marcia degli altri. Livelli elevati di stress e ansia hanno effetti di vasta portata sulla salute mentale e fisica a lungo termine di una persona, e può essere difficile districare alcuni di questi effetti dai tratti che derivano direttamente dai modi di pensare autistici.
La prospettiva dello sviluppo è particolarmente cruciale perché continuiamo a imparare per tutta la vita e alcune delle cose che sono incredibilmente difficili da giovani diventano molto più facili nel tempo una volta che iniziamo a concentrarci su di esse e a praticare. Questo non significa che smettiamo di essere autistici – tutti i segni indicano che un cervello monotropico è a vita – ma significa che molti dei tratti che sono considerati segni rivelatori di autismo nei bambini sono visti solo a volte negli adulti autistici.
Diverse esperienze nella giovinezza e nel corso della vita, e in particolare le diverse scelte che facciamo su dove focalizzare la nostra attenzione, sono probabilmente responsabili di una buona parte della diversità dei modi in cui l’autismo può presentarsi. Crescere in una famiglia in cui l’eccentricità è stata abbracciata e l’iperfocus capito probabilmente mi ha aiutato a diventare un adulto relativamente sicuro di sé, e non particolarmente ansioso. Né io né mia madre siamo cresciuti pensando a noi stessi come autistici, ma ci è stato permesso di essere strani, e questo fa una grande differenza.
Una parte della variazione dell’autismo è probabilmente dovuta anche a diversi gradi di monotropismo: è stato suggerito che il tratto potrebbe seguire una distribuzione normale, con alcune persone molto monotropiche, mentre altre (forse i multitasker naturali del mondo e quelli particolarmente bravi con le persone) sono insolitamente politropiche. Comunque il tratto sia distribuito, l’implicazione è che alcune persone sono più vicine ad avere menti autistiche rispetto ad altre senza qualificarsi come autistiche, e alcune persone autistiche hanno menti più atipiche di altre in termini di monotropismo. Questo non rende lo spettro lineare: ci sono così tanti modi diversi di manifestarsi dell’autismo e così tante condizioni concomitanti, che nessuna variabile può avvicinarsi a catturarli tutti.
Implicazioni per la ricerca
Se, come ho sostenuto, il monotropismo fornisce una spiegazione di fondo comune per tutte le caratteristiche principali della psicologia autistica, allora l’autismo non è così misterioso come la gente tende a pensare. Non abbiamo bisogno di fare affidamento su teorie che spiegano solo alcuni aspetti della cognizione autistica, senza una spiegazione convincente dell’iper- e ipo-sensibilità sensoriale, o dell’intensità degli interessi autistici.
Perché allora il monotropismo non è già meglio conosciuto, nonostante una fiorente attenzione negli ultimi anni? Credo che le ragioni siano più sociologiche che psicologiche. Quando ‘Attention, Monotropism… ‘ è stato pubblicato nel 2005, nessuno dei tre autori era psicologo professionista, sebbene uno avesse un dottorato di ricerca in psicolinguistica e avesse lavorato a lungo con persone dello spettro autistico; un altro, Wenn Lawson, ha ricevuto un dottorato in seguito per ulteriori lavori su questa teoria, con la tesi «Attenzione singola e cognizione nell’autismo», poi trasformata nel libro A Passionate Mind. Lawson aveva una diagnosi ufficiale di autismo, che dovrebbe essere una risorsa per chiunque lavori nell’autismo, ma è ancora visto da alcuni come un problema per la credibilità. Gli altri due autori non erano diagnosticati.
Nessuno di loro era inserito nel mondo della psicologia professionale e, nonostante il libro di Lawson indicasse diversi possibili test, non sembrano aver saputo quali agganci usare per assicurarsi che gli psicologi conducessero il lavoro empirico necessario per testare rigorosamente il monotropismo. L’autismo merita teorie buone e ben evidenziate, e sebbene sia facile sottolineare i principali difetti nelle teorie sull’autismo che gli psicologi hanno ampiamente accettato, ha senso che sarebbero riluttanti ad accettare una nuova teoria da tutto sommato degli estranei, per quanto sia in grado di spiegare molte cose. Sue Fletcher-Watson, psicologa del settore, sottolinea che «spesso in psicologia una nuova teoria si basa su una scoperta empirica — questo è ciò che è accaduto certamente con Theory of Mind che era nato da uno studio sperimentale del 1985 di Simon Baron-Cohen, Alan Leslie e Uta Frith. Per gli psicologi non autistici, non c’è esperienza vissuta di autismo con cui costruire un modello teorico e quindi i dati sperimentali devono venire prima di tutto. Questo potrebbe essere un altro motivo per cui le teorie guidate dall’autismo, tratte almeno in parte da osservazioni interne, faticano ad avere un grande impatto nella ricerca tradizionale».
La situazione potrebbe essere sul punto di cambiare. Sempre più ricercatori negli ultimi anni hanno iniziato ad ascoltare seriamente le prospettive autistiche sulle nostre esperienze e le teorie utilizzate per descriverci, e questo è senza dubbio parte del motivo per cui il monotropismo sta guadagnando più attenzione. Mentre gli psicologi scavano più a fondo negli aspetti dell’esperienza autistica che hanno avuto la tendenza a trascurare, compresa l’elaborazione percettiva e la natura degli interessi autistici, c’è un grande fascino in un quadro che unisca questi filoni apparentemente disparati (mentre approfondisce le spiegazioni di cose come i problemi con le funzioni esecutive e sociali). Forse può anche fornire alcuni suggerimenti utili per i neuroscienziati. Nel frattempo, la comprensione della mente monotropica è già utile per chiunque viva e lavori con persone autistiche; Mi piacerebbe vedere più ricerche basate sulla pratica, che esaminano l’impatto della capacità di capire in modo migliore il comportamento e le prospettive autistiche.
La mia speranza è che tra qualche anno gli psicologi guarderanno indietro ai resoconti frammentari con cui hanno lavorato e si chiedano perché tutto sia sembrato un tale enigma per così tanto tempo. Ma non sono uno psicologo, sono solo un insegnante autistico; forse dovreste prendere quello che dico con le pinze.
– Fergus Murray (alias Oolong) è un insegnante di scienze e scrittore con sede a Edimburgo; formalmente valutato come autistico nel 2010, all’età di 32 anni.
«Mia madre Dinah ha iniziato a pensare alla mente come a un sistema di interessi quando ero bambino, con il suo dottorato di ricerca su Lingua e Interessi presentato quando avevo otto anni. Qualche anno dopo ha letto dell’autismo nel libro di Uta Frith Explaining the Enigma, e ricordo la sua eccitazione quando ha iniziato a capire che il suo modello poteva essere facilmente modificato per spiegare più di questo enigma di quanto Frith o chiunque altro sembrasse essere riuscito fino ad allora.
Quindi sono cresciuto conoscendo il monotropismo, e da allora ne abbiamo discusso ampiamente. Ho sempre saputo che il mio modo di pensare tendeva verso il monotropismo, ma ci sono voluti anni perché uno di noi si identificasse completamente con esso. In molti modi, il nostro autismo è atipico: non siamo introversi, né socialmente non qualificati, e i nostri interessi sono di ampio respiro (anche se a volte divoranti). Ci adattiamo piuttosto bene al profilo a volte etichettato in modo fuorviante come «autismo femminile», ma questo era ancora meno compreso di quanto lo sia ora. Ci è voluto molto tempo con le persone autistiche per riconoscere che la nostra facile comprensione del loro modo di pensare non è avvenuta solo grazie alla preziosa lente del monotropismo, ma anche perché spesso assomigliava al nostro.»
«Le foto in alto sono mie; ho pensato che sarebbe stato bello avere qualcosa che illustrasse l’idea dei gradi di ramificazione, e dopo aver passato un po’ a guardare le immagini satellitari di gole e delta questo è quello che mi è venuto in mente.»
Questo articolo è stato originariamente pubblicato online a novembre 2018
Bibliografia
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- Lawson, W. (2011). The passionate mind: How individuals with autism learn. Jessica Kingsley Publishers.
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- Murray D. (2018) Monotropism – An Interest Based Account of Autism. In: Volkmar F. (eds) Encyclopedia of Autism Spectrum Disorders. Springer, New York, NY
Ringrazio Dinah Murray, Sonny Hallett, Richard Woods, Nick Chown, Niall Leighton, Damian Milton e Sue Fletcher-Watson per il loro aiuto nel perfezionare i miei pensieri.